a cura di Pier Angelo Carozzi
Gli interessi di studio di Uberto Pestalozza (se si eccettuano le pur approfondite ricerche perseguite nei primi anni del Novecento su temi biblici e di antichità cristiane, manichei e patristici che presenta, in un lungo arco di tempo, la sua abbondante produzione storiografica) partirono da saggi di carattere storico-filologico sulla mitologia, l’economia e l’archeologia classiche, greco-latina e mediterranea.
Grazie al magistero di Attilio De Marchi si persuase dell’importanza e della funzione svolta, nella storia di Roma, specie nei suoi primordi, dall’elemento mitico e religioso che indagò studiandone alcune divinità femminili minori, in una prospettiva che già oltrepassava l’eccessivo positivismo razionalistico di Theodor Mommsen (1817-1903) e della sua cerchia.
Questi interessi si vennero poi lentamente concentrando e focalizzando sull’interpretazione originale e tenace della religione mediterranea pre-indoeuropea, ricostruita secondo un metodo storico-fenomenologico, mediante l’analisi e la comparazione (di materiali archeologici, letterari, glottologici, epigrafici e numismatici: antiquaria, come appunto la si è definita) dei fatti religiosi greco-romani e di altre culture mediterranee o limitrofe.
Coi suoi dotti studi il Pestalozza ha mostrato come, anteriormente all’insediarsi della civiltà ellenica nel bacino del Mediterraneo, questo (in un’area che dalla Penisola iberica alla cosiddetta “mezzaluna fertile”, giungeva fino a Mohenjo-Daro e ad Harappa, nella valle dell’Indo) era caratterizzato da una religiosità alquanto omogenea di tipo agrario-matriarcale. Già dal paleolitico superiore, prima delle origini e dello sviluppo dell’agricoltura e quando quest’ultima era appena ai suoi inizi, la donna avrebbe avuto una posizione di rilievo e di privilegio in seno alle comunità e avrebbe giocato un ruolo dominante nella vita sociale e culturale (non politica né militare, salvo rare eccezioni) dovuto alla sua stretta identificazione con la Terra Madre. Pestalozza è perciò sempre stato contrario alla teoria di P. Wilhelm Schmidt, per il quale il matriarcato non poteva che essere posteriore all’agricoltura, mentre per lui fu sempre più evidente che già il paleolitico superiore portava in sé le condizioni necessarie e sufficienti per la nascita di un matriarcato che rese invece possibile lo sviluppo dell’agricoltura stessa (e non si può non escludere un quasi sicuro influsso delle teorie di Johann Jakob Bachofen e forse anche di Sigmund Freud – seppure mai esplicitamente citato nei suoi scritti – sulla interpretazione pestalozzana della religione mediterranea).
I popoli indoeuropei sopraggiunti e fattisi in seguito dominatori dell’ambiente mediterraneo furono non solo profondamente influenzati da questo fondamentale matriarcato religioso mediterraneo, ma da esso trassero molte delle loro comuni credenze a livello mitico e rituale. E queste credenze, pur dietro maldestre metamorfosi rilevabili principalmente nei miti, sopravvivranno in un sostrato interagente con le successive culture, attraverso le varie fasi della civiltà antica – greca, ellenistica e romana – fino al periodo tardo antico e agli inizi del Cristianesimo (senza contare le tracce presenti nel Medioevo cristiano o nelle tradizioni popolari europee).
Fu soprattutto la poliedrica figura e il primato della grande dea mediterranea, la prismatica Potnia (come lui la definì con terminologia ellenica), intesa in certo senso come principio primo e unificatore di quel multiforme pantheon di grandi e minori potnie e dei loro numerosissimi paredri…, che il Pestalozza mise in rilievo con la sua limpida, minuziosissima e avvincente indagine. Per cui non è più possibile oggi pensare e fare una storia della religione greca partendo da un Olimpo o da uno Zeus achei, che palesano l’assetto patriarcale degli invasori indoeuropei, i quali, entrati in un’area satura della ben più raffinata civiltà minoica e mediterranea, finirono, specie in campo religioso, con l’accoglierne gli innumerevoli elementi matriarcali (all’Heraion di Olimpia si sostituirà – sovrapponendosi culturalmente, ma senza distruggerne l’architettura – il santuario di Zeus). E tale incontro tra elementi matriarcali e patriarcali non giunse mai a una fusione armoniosa né tantomeno a una composta unità, ma il più delle volte i primi vennero forzatamente inseriti nel patrimonio della cultura greca, con grotteschi risultati di elaborazione mitologica.
Fu questo il punto di arrivo del lungo itinerario scientifico di Uberto Pestalozza, questo l’originale apporto del suo settantennale impegno di ricerca che, superando le anguste prospettive di uno studio classicistico dell’antichità greco-romana, ha dischiuso un vasto orizzonte di esegesi storico-religiosa (certamente – merita ribadirlo – più conosciuta e apprezzata all’estero che in Italia) ben prima della decifrazione del lineare B e del conseguente sviluppo della filologia micenea a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo.